Baby remember my name, reunion 2015
Salsomaggiore, sono le sette di sera: nonostante il freddo pungente e un sold out registrato a pochi giorni dall’annuncio dello show, la coda al botteghino è lunghissima. In attesa ci sono tutti quelli che devono ritirare i biglietti acquistati on line ma soprattutto, decine e decine di persone che sperano in una rinuncia dell’ultimo momento, per poter entrare e vivere un sogno. Un sogno, che li accompagna dal 1982. E mentre sei in fila, a dispetto di qualsiasi guerra, di tanto odio che pervade il mondo, improvvisamente senti e vedi comunicare tra loro persone che non si sono mai viste prima e che non parlano nemmeno la stessa lingua. Non c’è invidia ma solo tanto entusiasmo e tante facce sorridenti che cantano insieme trascendendo qualsiasi nazionalità. Vengono dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Grecia e da tutta l’Italia. Pronunciano parole diverse, ridono quando non si capiscono, ma c’è qualcosa che li unisce: l’entusiasmo e una grande passione per una serie tv che non ha fatto solo sognare moltissime generazioni dagli anni ’80 in poi, ma che ha fatto la storia. E quella che si vive è un’atmosfera unica.
L’occasione per questa reunion è data dal lavoro importante portato avanti da Stefano Mendogni e dalla sua famiglia che con la Ger Onlus grazie ai proventi della serata potrà continuare a lavorare in Colombia dove segue una casa di accoglienza che ospita 50 bambini. Le porte del teatro si aprono, ci si avvia in modo ordinato ma anche fremendo, non vedendo l’ora di entrare per prendere possesso del proprio posto. Il Palco è coperto da un telo per consentire delle proiezioni e all’inizio nasconde la maggior parte della scenografia che di lì a poco prenderà vita delicatamente sino a rivelare completamente le figure dei ballerini che ancora nasconde, gli Evolution Dance, che in silhouette e con grande armonia inizieranno lo show con una danza di luci e di ombre disegnando una serie di forme sullo schermo; mentre dalle quinte, se si è attenti, è possibile scorgere Lee Curreri, Cinthya Gibb e parte del cast, prepararsi ad entrare in scena. Le luci si abbassano, ormai in platea non c’è che un flebile brusìo. E il mio cuore comincia a battere forte. Mi guardo intorno, guardo la platea. Guardo le telecamere, oggi a me così familiari, anche in teatro, e non posso fare a meno di pensare a quanto ho desiderato far parte di questo mondo ogni volta che con tutta la forza che avevo correvo a casa in tempo per poter vedere una nuova puntata di Saranno Famosi. Fame, quante volte l’ho sentita, quante volte l’ho ballata, persino in uno spettacolo, a quindici anni, in quei magici anni ’80, quando studiavo danza, canto e recitazione tutti i pomeriggi e vedevo la mia vita e i miei sogni finalmente “capiti” da qualcuno. Da ragazzi della mia età che come me, ogni giorno, studiavano e preparavano uno spettacolo, regalandomi emozioni profonde, ma anche insegnandomi a credere in me stessa e a lavorare sodo; anche se, puntualmente, ogni volta che tornavo da una lezione, carica di energia, mi toccava affrontare un adulto che cercava di impormi la sua visione della vita e del posto fisso... mentre io non potevo separarmi da quella sensazione di libertà che ballare mi ha sempre dato. Ho sempre amato respirare quel particolare odore del legno che emanano le tavole di un palcoscenico e che ti fa sentire a casa in qualsiasi teatro o aula ti trovi; quelle voci che si muovono furtive tra le quinte come degli spiritelli buoni rimasti lì dopo ogni storia andata in scena, che si nascondono lungo i cavi, lungo ogni fissaggio, facendoci sentire come tutto ha vita su un palcoscenico. E pronte a rivelare nuovamente se stesse ad ogni calare e sollevarsi del sipario. Le prove, i dietro le quinte. Del cibo fatto arrivare da qualche locale vicino mangiato in una tavola improvvisata in un angolo. E poi quell’irripetibile magia che prende
vita all'improvviso. E non appena Lee Curreri suona le prime note su quel piano, ti ricordi perché quel serial ti è entrato nell’anima e non ha più lasciato il suo posto. “Molte persone mi hanno avvicinato in questi anni raccontandomi le loro storie e dicendomi quanto questa serie li abbia ispirati…” dice Erica Gimpel, l’effervescente Coco Hernandez della serie, mentre si racconta ai microfoni di Radio Globale, subito dopo il concerto. “Oggi ci sono moltissimi talent show, ma nessuno è riuscito ad eguagliare Fame”, continua Jesse dopo lo spettacolo. Ha fatto epoca Fame, il film diretto da Alan Parker nel 1980, certo, ma soprattutto la serie televisiva prodotta dalla storica Mgm, che dal 7 gennaio del 1982 fino al 18 maggio del 1987, ha visto la lavorazione di 136 episodi per la NBC, una serie di concerti tra cui quelli a Israele e Londra, e un successo ineguagliato da nessun altro film o serie venuto dopo; successo che nel 1997 porta ad uno spin off, Fame L.A. e ad un nuovo lungometraggio dallo stesso nome nel 2009. Ma cosa ha di diverso Saranno Famosi? Sono molti i film sulla danza usciti negli ultimi anni, ma se a qualcuno sembra che siano tutti uguali, beh, fatevi dire che non è così. Ci sono film in cui ci si riconosce, altri che ti portano lontano con la fantasia, e poi ci sono loro, i film che ti parlano direttamente, e che improvvisamente ti fanno capire chi sei, o cosa vorresti essere, che ti spronano a credere in te stesso, che ti aiutano a scoprire te stesso e che ti fanno sentire un po’ meno sciocco solo perché pensavi di fare qualcosa di grande nella tua vita e magari hai solo quindici anni. Film o serie tv che “ti ascoltano”, che ti fanno sentire meno solo, ma non perché improvvisamente scopri che ci sono altri sognatori come te, no, ma perché ti dicono che quello che per qualcuno è solo un sogno o qualcosa impossibile da realizzare, invece può succedere e che forse vale pena di provare; ma soprattutto che quello che credono gli altri non conta, e che tutta quella rabbia che senti la puoi incanalare e fare qualcosa di buono della tua vita, ma ad una condizione: non tradire mai il tuo talento. E se al talento ci aggiungi il rispetto per te stesso e lo studio, beh allora hai molto più di una chance per farcela in questo mondo, e nella vita in generale. Hai qualcosa dentro, qualcosa in cui credere, qualcosa da dare agli altri, e questo ti dà una forza che non sapevi neanche di avere. You got big dreams. You want fame. Well, fame costs… and right here is where you start paying: in sweat. Una serie che parla di musica, di danza, di ambizione, ma soprattutto di persone, e che attraverso la musica e la danza ci ha preparato alla vita e ad affrontare il futuro con una solida base di valori.
Accompagnata da Lee, Erica Gimpel è la prima a raggiungerlo per cantare. I still believe in me. La sua voce è potente, pulita, e il suo sorriso contagia ancora tutti: Coco, sempre piena di entusiasmo e pronta a coinvolgere Bruno ad accompagnarla a qualche audizione. A loro si aggiunge Valerie Landsburg, Doris, sempre in prima linea a difendere gli amici ai quali vuole bene, indimenticabile protagonista della serie con numeri come Turn to me, e On the West Side; e poi Nia Peeples, Cynthia Gibb, Jesse Borrego e Carlo Imperato per la corale e dolcissima Starmaker, cantata nuovamente alla fine come bis. Inutile dire che urla, applausi e lacrime di gioia hanno coronato l’ingresso di ognuno di loro. Chi non ricorda la struggente storia d’amore tra Nicole e Jesse che ha infiammato i cuori di tutti, anche se in realtà all’epoca Nia Peeples era fidanzata con Carlo Imperato; e poi ancora il tema dell’adozione e della famiglia affrontato nella serie con l’incontro tra Niky e la madre biologica; la comicità di Danny Amatullo e il rapporto controverso con suo padre che non condivideva la sua scelta e che avrebbe voluto che il figlio studiasse per un “vero” lavoro. La separazione dei genitori che porta Julie Miller (interpretata da Lori Singer) a New York. O ancora i temi dell’amicizia, della correttezza. Del lavorare per migliorare sempre se stessi ma senza per questo calpestare gli altri. Ieri e oggi. Intensa la recitazione di Carlo e di Valery che si sono avvicendati sul palco del Teatro Nuovo di Salsomaggiore alternando i loro monologhi alle performance rock come quella della “mamma” Nia Peeples che accompagnata da su figlio Chris, eccellente chitarrista, ha cantato Long Train Running. E naturalmente Fame, che mi ha visto lasciare il mio posto per ballare davanti al palco con tutti quelli che come me si sono alzati e si sono avvicinati senza pudore… per questo è stata una festa, una splendida festa, così come lo era la serie. E poi un assolo di Jesse, The World, e la partecipazione del gruppo musicale Disco Inferno, con la narrazione, importante, di Marco Caronna, co-regista dello show insieme a Piero Rossini, e figura di unione nei vari momenti della performance. Spettacolo che Caronna inizia seduto in disparte con un’immagine di New York alle spalle e in mano un taxi giallo… Serata indimenticabile, come quando Erica Gimpel dedica a sua madre, presente in sala e che la raggiungerà sul palco, la canzone che le ha scritto per i suoi 80 anni.
E poi ancora gli omaggi Man in the mirror di Michael Jackson, Footloose con una strepitosa Cynthia “Holly Laird” Gibb che indossando il giubbotto di Fame inizia a cantare e a ballare dal pubblico, e Stairway to Heaven dedicato alla memoria di Gene Anthony Ray le cui immagini, tratte da Tomorrow’s farewell (St.1,ep.3) scorrono intense sullo schermo mentre l’intero cast canta sul palco, commuovendo tutti.
Questa serie, che del film ha mantenuto parte dei performers originali tra cui Gene Anthony Ray, Debby Allen, e Albert Hague, ha reso spesso omaggio ai musical del passato e a quelli contemporanei, mentre seguiva da vicino le vicende di un gruppo di ragazzi attraverso le loro storie personali, spesso in comune con quelle degli adolescenti di tutto il mondo. We got the power recita uno dei testi delle loro canzoni. La musica diventa un messaggio importante, qualcosa in cui credere, qualcosa che scuote, che emoziona, e un modo per fare del bene; non è un caso che nel 1984 saranno proprio i cantanti e non i politici a proporre un’iniziativa per la fame nel mondo attraverso il gruppo Band Aid e il successivo Live Aid, lasciando impresse in ognuno di noi le immagini dei camion pieni di cibo che raggiungono le popolazioni africane. Con Russians Sting affronta il tema della Guerra Fredda mentre con Two Tribes, i Frankie Goes to Hollywood vedono due Presidenti lottare tra loro. Anche Fame non sarà estraneo alle iniziative importanti. Coreografie meravigliose, ballerini, attori e cantanti straordinari, ritmo impeccabile, questa serie è riuscita a mettere insieme grandi musical, capolavori della letteratura e il cambiamento storico-sociale che vivevamo negli anni ’80, creando una miscela esplosiva. Da Not in Kansas anymore, puntata dedicata al Mago di Oz (St.2 ep. 19), al numero Desdemona, (The Strike, St.1 ep. 7), alla puntata Holmes Sweet Holmes in cui Danny e Chris - Bill Hufsey - interpretano rispettivamente Sherlock Holmes e il Dott. Watson (st. 5, ep.14); dall’episodio che si apre in bianco e nero dal titolo All talking, all singing (st. 6, ep.5) con i ballerini schierati su una scalinata mentre cantano e ballano 42nd street a suon di tip tap, alla splendida puntata dedicata all’Onu con brani come Let the sunshine, Age of Acquarius, War e ospiti come Joan Baez (Tomorrow’s children, St. 4, ep. 13, diretto dalla stessa Debbie Allen). Alla musica elettronica che negli anni ’80 confermava la sua importanza, portata nella serie grazie all’impiego dei sintetizzatori da parte di Bruno e alle disquisizioni con il Prof. Shorofsky. Erano gli anni ’80, gli anni in cui il giro di basso di Good Times degli Chic del ‘79, diventa la base di Another one bites the dust dei Queen, per trasformarsi in Rapper's Delight della Sugarhill Gang che da inizio al rap, a conferma che l’energia sprigionata in un altro importante film sulla danza e sul mondo dei b-boy, Breakdance, uscito nel ’78, non era di certo passata inosservata. Un nuovo genere stava nascendo, e un nuovo modo per combattere la rabbia, come quando Michael e Chris alleneranno due band rivali a suon di danza (Break Dance, St. 3 ep.8).
Questa serie è tutto questo, mi ha insegnato a credere in me stessa, a non mollare, mi ha aiutato a riflettere, a crescere. Mi ha insegnato dei valori. Mi ha fatto sentire importante, e come a me, a tutti quelli che erano lì quella sera. “Se porti la gioia, se dai ad un ragazzo un motivo per credere in se stesso, allora lo avrai allontanato dalla strada”, continua Erica Gimpel. È grande l’umanità di questi ragazzi che ancora prima di essere degli interpreti straordinari sono delle bellissime persone. Ho conosciuto Lee qualche anno fa a Los Angeles mentre con il resto del cast ho scambiato una battuta quella sera quando in modo molto carino e pieno di entusiasmo si sono prestati a fare centinaia di foto e a parlare con noi. Con ognuno di noi. Fino a tarda notte, confermando quella che trenta anni fa era solo un’impressione, e cioè che siano davvero così nella vita come i personaggi ai quali hanno dato corpo. Con gli stessi valori e la stessa onestà. Ecco la forza di questa serie, la sincerità. La gioia di vivere che portano con sé e che ha pervaso il palco per tutta la durata del concerto, ma anche dopo lo spettacolo. Oltre al loro indubbio e incredibile talento. Oggi lavoro dietro le quinte, e sono felice di farlo. Ma se faccio questo lavoro, se non ho mai mollato, molto lo devo a loro. Grazie per il vostro talento, la vostra gioia di vivere, la vostra energia e per averla sempre condivisa con noi.
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